Alla fine, tutto è andato come temuto.
Lo scorso 12 marzo, il Parlamento Europeo ha licenziato in via definitiva le norme relative alla Direttiva sulle Case Green secondo i parametri da noi già indicati nel corso dei vari articoli scritti in quest'ultimo anno.
Per comodità, riportiamo di seguito i temi essenziali di quanto indicato.
Le Premesse
Secondo la Commissione Europea, gli edifici dell'Unione Europea sono responsabili del 40% dei consumi energetici e del 36% delle emissioni di gas a effetto serra.
Il 15 dicembre 2021 la Commissione ha presentato una proposta di revisione della direttiva sulla prestazione energetica nell'edilizia, che fa parte del pacchetto "Fit for 55".
Secondo la normativa europea sul clima del luglio 2021 gli obiettivi ambientali per il 2030 e il 2050 sono diventati vincolanti per tutti i Paesi UE.
Le Finalità
Lo scopo della revisione della direttiva sulla prestazione energetica nell'edilizia, è di ridurre progressivamente le emissioni di gas serra e i consumi energetici nel settore edilizio entro il 2030 e pervenire alla neutralità climatica entro il 2050.
Tra gli obiettivi figurano anche la ristrutturazione di un maggior numero di edifici con le prestazioni peggiori e una migliore diffusione delle informazioni sul rendimento energetico.
La direttiva è stata approvata dal Parlamento in via definitiva con 370 voti favorevoli, 199 voti contrari e 46 astensioni.
Obiettivi di riduzione delle emissioni
Secondo la nuova normativa, tutti i nuovi edifici dovranno essere a emissioni zero a partire dal 2030.
Inoltre, i nuovi edifici occupati o di proprietà delle autorità pubbliche dovranno essere a emissioni zero già a partire dal 2028.
Gli Stati membri potranno tenere conto, nel calcolare le emissioni, del potenziale impatto sul riscaldamento globale nel corso del ciclo di vita di un edificio, inclusi la produzione e lo smaltimento dei prodotti da costruzione utilizzati per realizzarlo.
Cosa succede per gli Immobili residenziali
Per questi edifici, i Paesi membri dovranno adottare misure adatte a garantire una riduzione dell'energia primaria media utilizzata di almeno il 16% entro il 2030 e di almeno il 20-22% entro il 2035.
In base alla nuova direttiva, gli Stati membri dovranno inoltre ristrutturare il 16% degli edifici non residenziali con le peggiori prestazioni entro il 2030 e il 26% entro il 2033, introducendo requisiti minimi di prestazione energetica.
Se tecnicamente ed economicamente fattibile, i Paesi membri dovranno garantire l'installazione progressiva di impianti solari negli edifici pubblici e non residenziali, in funzione delle loro dimensioni, e in tutti i nuovi edifici residenziali entro il 2030.
Eliminazione graduale delle caldaie a combustibili fossili
Gli Stati membri dovranno indicare come intendono predisporre misure vincolanti per decarbonizzare i sistemi di riscaldamento eliminando, gradualmente, i combustibili fossili nel riscaldamento e nel raffreddamento entro il 2040.
A partire dal 2025, sarà vietata la concessione di sovvenzioni alle caldaie autonome a combustibili fossili.
Saranno ancora possibili incentivi finanziari per i sistemi di riscaldamento che usano una quantità significativa di energia rinnovabile, come quelli che combinano una caldaia con un impianto solare termico o una pompa di calore.
Chi sarà Esente?
La nuova normativa non si applica agli edifici agricoli e agli edifici storici (al momento il concetto di "storico" è piuttosto aleatorio e attendiamo dettagli) e i Paesi membri potranno decidere di escludere anche gli edifici protetti per il particolare valore architettonico o storico, gli edifici temporanei, le chiese e i luoghi di culto.
Un’attenta analisi pubblicata sul Corriere della Sera ci aiuta a comprendere meglio quale potrà essere l’impatto di questa direttiva sul patrimonio immobiliare del nostro Paese.
Due anni di tempo per Mettersi in Regola
L’Italia, come gli altri Paesi UE, avrà due anni per recepire integralmente le norme della direttiva sulle case green.
Il testo approvato lascia un ampio margine di discrezionalità ai Paesi membri su come raggiungere gli obiettivi e il fatto che i partiti dell’attuale maggioranza di governo abbiano votato contro il testo lascia pensare che, almeno nella prima fase, l’approccio sarà abbastanza morbido.
Ciò non toglie che le prescrizioni generali della direttiva, per quanto edulcorate rispetto a quelle originarie, rischiano di avere conseguenze molto serie sul mercato e sulle tasche dei proprietari di casa.
Ci sarà uno STOP alle vendite delle Case non efficientate?
Cominciamo con il dire che non è previsto nessun divieto di vendita o locazione delle abitazioni ad alto consumo, ma è anche vero che anche nel mercato delle auto, ad es., non c’è nessun divieto di vendere i diesel Euro 3 o 4.
Semplicemente, non si trova chi li compra.
Il guaio è che rottamare un’auto è infinitamente più semplice che rottamare un edificio.
Le prescrizioni per gli immobili residenziali sono tre:
1. Entro il 2030 gli edifici nuovi dovranno essere a emissioni zero. Questo comporterà presumibilmente un aumento dei listini in cantiere ma non creerà problemi tecnici;
2. Il 15% degli edifici andrà ristrutturato in tempi relativamente brevi, dando la priorità al patrimonio con le peggiori prestazioni;
3. I consumi di energia dovranno ridursi del 16% entro il 2030 e tra il 20 e il 22% entro il 2035.
La situazione a Casa Nostra
I problemi che avrebbe un’applicazione, per quanto soft, del secondo e terzo punto sopra indicati, sono molto seri.
Si può stimare che in Italia appartengano alle tre classi energetiche peggiori, circa il 70% degli edifici e la prima questione da affrontare è capire quali saranno quelli da recuperare in prima battuta.
Per la prima fase si dovrà operare sul 15% del totale, il che significa mettere mano in breve tempo a quasi 1,8 milioni di edifici per poi adeguarne ancora alcuni altri milioni.
L’obiettivo finale, che appare più che altro una semplice dichiarazione di intenti molto difficilmente raggiungibili, sarebbe quello di avere zero emissioni degli immobili entro il 2050.
Che cosa significhi tutto questo calandolo nella realtà immobiliare del nostro Paese lo si può comprendere facilmente se si considera che il Superbonus ha coinvolto meno di mezzo milione di edifici, solo residenziali, ed ha comportato investimenti (in grandissima parte dello Stato) per oltre 120 miliardi di euro.
I Fondi dell’UE NON Basteranno
Vanno poi aggiunti gli interventi che andranno effettuati sugli edifici non residenziali e quelli pubblici.
Tutto questo pone sia un problema di capacità industriale del sistema delle costruzioni e dell’impiantistica, sia un’enorme questione economica.
In questa fase non è poi assolutamente chiaro né come saranno selezionati gli edifici su cui intervenire prioritariamente, né soprattutto se ci sarà qualche forma di obbligo.
Appare molto dubbio e decisamente impopolare per chi lo decidesse, poter costringere in prima battuta i proprietari di casa a effettuare un’onerosa riqualificazione del loro immobile senza un contributo integrale o quasi delle casse pubbliche.
La UE ha sì stanziato 152 miliardi di fondi che potranno anche passare, come previsto esplicitamente, attraverso cessione del credito e lo sconto in fattura, ma alla fine della ripartizione con gli altri Stati membri rimarranno forse un paio di decine di miliardi, assolutamente insufficienti.
Dopo la vicenda del Superbonus, che rimane la pietra di paragone perché i lavori agevolati sono più o meno gli stessi che servono per avvicinare i risultati previsti dalla direttiva, è molto improbabile che arriveranno risorse di entità significativa dalle casse pubbliche italiane.
Cosa può Succedere?
Le vie di uscita ventilate sono due, ma entrambe rischiano di risultare ben poco efficaci.
La prima è quella di legare gli incentivi al reddito del proprietario di casa.
Lo si è già fatto ad esempio con il Superbonus 2023 per le case indipendenti o con il bonus barriere architettoniche.
A parte la soglia di reddito molto bassa (15 mila euro equivalenti) sono misure che hanno senso per i lavori all’interno di unità immobiliari, ma non sono assolutamente proponibili in un condominio.
Il secondo è far pagare gli interventi alle «Esco» (Energy Service Company) che effettuano i lavori tenendosi per un certo numero di anni i risparmi effettuati sulle bollette.
Bisogna però che ci siano condomini disponibili a sobbarcarsi i disagi di un cantiere senza nessuna contropartita immediata.
Da tutto questo deriva lo scenario peggiore: di lavori se ne faranno ben pochi.
E per il timore che vengano resi obbligatori in maniera onerosa il mercato dell’usato rischerà dei forti rallentamenti e una perdita di valore importante.
Conclusioni
E così, come da oltre un anno a questa parte, sappiamo tutto quello che accadrà ma nessuno ha la minima idea di come accadrà e soprattutto dove potrà essere reperita l'impressionante quantità di denari necessaria.
E la paura è, come spesso accade, che a pagare siano in primis i cittadini.
Noi saremo sempre attenti a ogni evoluzione e vi informeremo sulle novità, qualunque esse siano.
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