Parlando di Famiglia, i pensieri dovrebbero essere tutti rivolti all’infinito tempo dell’amore, ma da diversi giorni, forse proprio perché a volte l’amore è tutt'altro che infinito, ci arrivano richieste di maggiori informazioni per un tema sempre molto dibattuto:
In caso di separazione il Tribunale a chi assegna la casa?
Chiariamo subito che questo articolo non vuole in alcun modo essere contrario alla legittimità delle assegnazioni giudiziarie a favore delle ex mogli, nè intendiamo entrare nel merito di temi ancora più scottanti e attuali, ma è una semplice risposta tecnica a frequenti domande che ci sono state poste.
Come sempre siamo assolutamente disponibili ad affrontare qualsiasi questito ci venga posto e per i più interessanti, a proporre nuovi articoli.
Per questo, prendiamo spunto da un recente scritto dell’avv. Angelo Greco, che tratta proprio l’argomento in questione.
Non sono pochi gli uomini che, sposandosi, temono di perdere la casa di proprietà nell’ipotesi di una eventuale separazione.
Ciò perché le donne ottengono quasi sempre dal tribunale la custodia dei figli (detta tecnicamente collocazione) e in conseguenza di essa anche il diritto di abitazione nella dimora coniugale.
Proprio per questa ragione, prima delle nozze, ci si chiede come tutelare la casa coniugale per non farla andare all’ex moglie, qualora il rapporto di coppia dovesse naufragare.
Chi riguarda questo problema?
Questo dubbio non interessa ovviamente solo le coppie che si sposano, ma anche a quelle che convivono.
E questo perché il regime applicabile è sempre lo stesso, in quanto l’assegnazione della dimora familiare è un provvedimento che viene emesso a tutela dei figli, indipendentemente dal tipo di rapporto giuridico che ha legato i genitori.
Chi non si sposa può salvare la casa?
Come anticipato, non è evitando il matrimonio che si tutela la casa.
L’assegnazione del diritto di abitazione scatta in presenza di due presupposti:
• separazione o divorzio senza accordo tra le parti (pertanto in forma giudiziale e non consensuale);
• presenza di figli minorenni o maggiorenni non ancora autosufficienti (purché con non più di 30 anni) o ancora portatori di grave handicap.
Nel caso di una coppia di fatto, invece, il primo requisito non è chiaramente richiesto, visto che per i conviventi la separazione avviene di fatto, senza cioè l’intervento del giudice (il quale subentra solo in caso di litigi in merito alla gestione della prole).
Il diritto di abitazione nella casa coniugale viene riconosciuto al cosiddetto genitore collocatario, quello cioè presso cui il figlio andrà a vivere secondo la decisione del tribunale.
A ben vedere, per non dover lasciare la casa all’ex, bisognerebbe:
• non avere figli o avere figli già autosufficienti o che vivono da soli;
• oppure ottenere la collocazione presso di sé dei figli.
Tali condizioni chiaramente non sempre ricorrono e, anzi, per il padre è sempre piuttosto improbabile ottenere il collocamento della prole.
Ciononostante, questi ha ancora qualche possibilità di tutelare la casa dall’ex moglie.
Vedremo le modalità qui di seguito.
Quale casa rientra nella decisione giudiziaria?
Tempo fa è saltata agli onori della cronaca la vicenda di un famoso calciatore il quale, per tutelare i propri beni da un possibile divorzio, prima di sposarsi aveva intestato tutti i suoi beni alla madre.
Ci si è chiesto: un escamotage del genere potrebbe essere sufficiente per evitare di perdere la casa?
Assolutamente sì, ma è bene fare delle premesse.
La logica è che il giudice assegna al genitore collocatario solo la casa familiare, quella cioè ove la famiglia viveva prima della separazione.
Lo scopo è evitare che i figli possano subire un trauma da un eventuale trasferimento e cambiamento delle abitudini di vita.
Dunque, se la coppia vive in una casa che non è di proprietà di uno dei due coniugi, ma è presa in affitto, il diritto di abitazione verrà disposto su quest’ultimo immobile (con relativa voltura del contratto di locazione) e non su un altro.
In teoria quindi non ci sarebbe neanche bisogno di intestare la casa alla madre.
Basterebbe non vivere nell’immobile.
In ogni caso, qualora si intesti la casa a terzi e poi la si chieda in prestito, è possibile tutelarla firmando un contratto di comodato (ne abbiamo parlato proprio la scorsa settimana) scritto e con data di scadenza certa.
È però necessario sapere bene che, secondo la giurisprudenza, il giudice può riconoscere il diritto di abitazione anche sulla casa in comodato se questo non ha una data di scadenza ben definita.
Quindi, se il padre assegna in comodato gratuito la propria casa al figlio affinché vi viva con la moglie, qualora questi ultimi divorzino il giudice può assegnare l’abitazione alla madre con cui i figli vanno a vivere, anche se l’immobile è di proprietà dei suoceri.
L’unico modo per scongiurare tale possibilità è dare al comodato una data di scadenza certa, eventualmente rinnovabile di volta in volta con un nuovo contratto.
Ad esempio, scadenza al 31 dicembre 2024, poi al 31 dicembre 2025 e così via.
Vivere in affitto
Il secondo modo per tutelare la casa di proprietà, come si diceva sopra, è non viverci, magarli darla in affitto e fissare la dimora coniugale in un’altra abitazione, ottenuta anche questa in locazione.
Il giudice, infatti, potrà disporre l’assegnazione del diritto di abitazione solo nella casa in affitto, perché è qui che viveva la coppia e non anche in quell’altra di proprietà del coniuge, anche se sfitta.
Conclusioni
La logica conclusione sarebbe quella di non separarsi, ma purtroppo alle volte questa non è un’opzione e allora è necessario almeno limitare i danni emotivi e, è brutto da dire ma è reale, economici.
Ricapitolando, per tutelare la casa dalla separazione ed evitare che vada alla moglie, oltre a non avere figli o ad ottenere la collocazione di questi ultimi presso di sé, il padre può adottare solo due tecniche:
• intestare il proprio immobile a un familiare e farselo attribuire in comodato, firmando un contratto scritto e soprattutto apponendo una specifica data di scadenza al comodato;
• vivere non già nella propria casa di proprietà ma in un’altra, preferibilmente presa in affitto.
Difatti il giudice può assegnare il diritto di abitazione solo nella casa ove la famiglia dimorava e non in un’altra.
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