Il nostro articolo della scorsa settimana ha provocato un gran numero di commenti e di reazioni ed è stato ripreso da numerosi media nazionali.
Vi ringraziamo per gli apprezzamenti ricevuti e per il record di oltre 100.000 visualizzazioni ottenute.
Il tema certamente non si poteva esaurire in quel contesto e oggi analizzeremo in dettaglio le conseguenze reali di questo Decreto in cui è stato promosso il blocco delle cessioni del credito dei vari bonus edilizi.
Data spartiacque il 17 febbraio 2023
Il blocco della cessione del credito e dello sconto in fattura deciso dall’ultimo Decreto Legge 11/2023 emanato dal Governo, ha coinvolto direttamente circa 32.000 imprese con 170.000 lavoratori (dati ANCE) e messo fuori gioco quasi 7 milioni di italiani (dati Sole24ore), che avevano già intrapreso o pianificato i lavori di ristrutturazione la cui tempistica è però slittata a dopo il 16 febbraio, termine ultimo stabilito dal DL.
Il che in pratica azzera la possibilità di ristrutturare senza dover sborsare direttamente l’intera somma dei lavori, rendendo così la detrazione fiscale da riportare nella dichiarazione dei redditi, l’unico modo per ottenere il bonus.
Chi deve avviare nuove opere dovrà portare necessariamente la detrazione nella dichiarazione dei redditi?
La risposta è semplicemente, si.
In effetti è una sorta di ritorno al passato e si applicherà la stessa procedura adottata a partire dal 1998, anno di varo dei bonus ristrutturazione.
Si mantiene comunque il diritto alla detrazione fiscale, le cui tempistiche sono però variabili a seconda dei vari bonus: 4 anni (Superbonus), 5 anni (Sismabonus ordinario, Bonus barriere architettoniche) o 10 anni (Ecobonus, Bonus manutenzione).
Il problema concreto riguarda il fatto che più è alta la somma detraibile e corto il tempo entro cui riavere i soldi dal Fisco, più crescono i rischi di avere un diritto alle detrazioni maggiore dell’Irpef dovuta.
In questo caso si parla di incapienza fiscale.
In pratica, il rischio è maturare più credito fiscale di quanto se ne possa portare in riduzione e chi si dovesse trovare in questa situazione, perderebbe completamente la parte della detrazione che eccede l’Irpef.
Quindi soldi completamente buttati e addio al vantaggio fiscale.
Purtroppo con il Superbonus questo rischio è quasi certo.
Impedire la Cessione penalizza le famiglie con il reddito più basso?
Questo sembra evidente, ma vengono penalizzati anche tutti quei contribuenti che non hanno redditi assoggettabili a Irpef, a partire dalle partite Iva forfettarie fino all’effetto paradossale di persone che hanno redditi elevati ma che pagano la ritenuta totale direttamente alla fonte.
Se anche un benestante disponesse di 100mila euro di reddito all’anno derivanti ad es. dall’incasso di dividendi o da canoni di locazione per cui paga la cedolare secca, risulterebbe comunque incapiente.
E quindi anche chi avesse la giusta consistenza fiscale, senza cessione del credito potrebbe aver ben poco interesse a sostenere i lavori, soprattutto quelli del Superbonus.
Salvatore Regalbuto, tesoriere del Consiglio nazionale dei commercialisti con delega all’area fiscale, ha spiegato in un suo intervento al Corriere della Sera, che per ottenere 100mila euro di rimborsi Irpef (valore medio dei lavori del Superbonus) spalmati in 4 anni, serve un reddito netto non inferiore ai 70mila euro annui.
Insomma, la misura così come è stata riscritta, ovvero senza la possibilità di cedere il credito o avere lo sconto in fattura, si appresta a diventare accessibile solo a pochissimi italiani, circa il 4% della popolazione secondo i dati Istat.
Il Superbonus è ora meno allettante per i condomini?
Ipotizziamo un condominio che, non avendo ancora presentato la Cilas, potrebbe al massimo ottenere il bonus 2023 al 90%.
Ogni singolo condomino, cedendo il credito per il Superbonus, ricaverebbe il 75% della spesa ma dovrebbe aggiungere i costi non detraibili per il 25% rimanente.
Se quel condomino non fosse super convinto dell’operazione (e in effetti non si capisce perchè dovrebbe esserlo), difficilmente investirebbe i soldi necessari a saldare subito i conti.
E comunque sarebbe opportuno che in quel condominio si potessero approvare i lavori con una maggioranza molto forte, meglio ancora all’unanimità.
Ma la norma sul Superbonus prevede invece una maggioranza bassissima
C’è un aspetto fondamentale da considerare bene.
L’articolo 119, comma 9 bis del DL 34/2020 (Decreto Rilancio) è molto chiaro e recita: “Le deliberazioni dell'assemblea del condominio aventi per oggetto l'approvazione degli interventi di cui al presente articolo e degli eventuali finanziamenti finalizzati agli stessi, nonché l'adesione all'opzione per la cessione o per lo sconto di cui all'art.121, sono valide se approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno 1/3 del valore dell'edificio…”
In pratica, per approvare il Superbonus, basterebbe il voto favorevole dei titolari di poco più del 17% delle quote condominiali.
All’inizio, questa quota che riproduce quella già in vigore per i lavori di efficientamento energetico, non aveva eccessiva rilevanza, perché di fatto nessuno pagava di tasca propria.
Oggi, per opere che costerebbero decine di migliaia di euro a famiglia, sarebbe molto imprudente affidarsi a una maggioranza così risicata.
E in presenza di condomini che non possano o vogliano pagare, l’impresa chiamata a svolgere le opere vorrà comunque essere saldata, con i costi che finirebbero per essere a carico dei condomini adempienti che poi dovrebbero fare rivalsa sugli insolventi, con l’unica sicurezza di iniziare lunghissimi contenziosi legali senza la certezza di una conclusione positiva, essendo il problema dell’equità della norma assolutamente discutibile e tutt'altro che consolidata.
E per le case singole?
In realtà, senza cessione del credito, parlare di Superbonus in questi casi sembra completamente inutile.
Abbiamo già visto in precedenti articoli, come per le villette lo si potrebbe ottenere solo con redditi limitati ai 15mila euro, calcolati secondo le regole del quoziente familiare e anche ammesso che il contribuente abbia le risorse per pagare la sua parte, non si vede in che modo potrebbe evitare l’incapienza, così come abbiamo scritto in precedenza.
Che fine fa chi ha in corso piccoli lavori di edilizia libera?
Il primo gruppo ad aver registrato il contraccolpo del Decreto blocca crediti, è composto da tutti coloro che stavano per avviare dei piccoli lavori di edilizia libera ma non lo hanno fatto entro la data di entrata in vigore del Decreto.
La legge infatti ha posto come discriminante per poter mantenere il diritto alla cessione del credito, l’aver già avviato materialmente i lavori.
Ma ci sono interventi che hanno iter piuttosto lunghi, come ad es. l’installazione degli infissi, dove alla firma del preventivo segue il versamento dell’acconto, l’installazione e solo alla fine lo sconto in fattura.
Chi ha già concluso i primi passaggi ma non ha ancora ultimato i lavori, è dunque escluso dallo sconto e si ritrova oggi a dover pagare tutto il dovuto di tasca propria oppure a tentare di rinegoziare l’intervento, sempre che la ditta installatrice sia disponibile a farlo.
Nel caso di chi invece i lavori li ha terminati prima del 16 febbraio, resta il problema tecnico di come dimostrarlo.
Il Decreto non dà indicazioni e l’unica soluzione possibile sarebbe un’autocertificazione del contribuente stesso, ma al momento è solo un’ipotesi.
Mentre chi ha in precedenza inviato le certificazioni, come nel caso della notifica preliminare legata alla sicurezza nei cantieri edili, di fatto è fortunatamente già in regola.
In definitiva, la logica del Decreto è più che comprensibile, vista l’impossibilità finanziaria dello Stato di continuare a sostenere i costi derivanti dai vari Bonus, nati malissimo e gestiti anche peggio.
Ma sarà sicuramente necessario rivederne le condizioni, perché il rischio è quello di mettere sul lastrico migliaia di famiglie e di imprese che, in buona fede, hanno semplicemente agito nel rispetto delle regole di volta in volta in vigore.
Siamo convinti che questo non sarà l’ultimo episodio di quello che sta diventando una sorta di poema tragico e come sempre vi terremo tempestivamente aggiornati.
I Consulenti EffettoCasa Roma, sono sempre a disposizione dei Clienti per ogni maggiore chiarimento, contattandoci per un appuntamento di persona attraverso il sito www.effettocasaroma.it, su WhatsApp all'infoline 366.22.78.458 o tramite le nostre pagine social, cercando EffettoCasa_Roma su Facebook, Instagram e YouTube.
Se ti interessa ricevere settimanalmente le nostre news, diventa un followerdelle pagine social di EffettoCasa_Roma e di CasainTV e lasciaci, se ti fa piacere, un like.
Scopri anche Tu che Effetto Fa... EffettoCasa!